Bones

06 Raise My Ruins

08 Break the Black

10 Sweet Wife of Twenty Lives Before

Recensioni

Si parte in acustico, con "My bones are sick", il cantato è tra Nick Cave (per la declamazione) e Howlin' Wolf (la tonalità cavernosa), se poi qualcuno lo conosce direi che Carl McCoy dei Fields of the Nephilim sia il riferimento più credibile. Sullo sfondo il Delta del Mississippi, nell'aria aleggia odore di zolfo. "Imagination of surreal" richiama la gloriosa dark wave degli anni Ottanta, Wayne Hussey che duetta con Julianne Regan, siamo da quelle parti lì. Canzone evocativa, ma anche le atmosfere goth del brano successivo, "Raise my ruins", non scherzano. Con la quarta canzone, "Matricide", si entra in territorio hardcore e all'improvviso il "mood" del disco cambia come dalla notte al giorno. Più che il riffone metal mi colpisce la batteria, scarnificata fino all'osso (bones...), laddove la tendenza attuale è quella di saturare, saturare, saturare tutto e se non ti chiami Jack White... ma anche no! Differenze stilistiche a parte, viene in mente la P.J. Harvey degli esordi. Il "solo" chitarristico di Marco Giovannetti, poi, è una discreta scarica di adrenalina. Ancora più aggressiva è la successiva "Heart's exploding", che mantiene ben salda la barra hardcore. "The core" fa da ponte per la conclusiva "Welcome hell", ululante commiato. Qui non c'è alcun "dulcis in fundo", solo tanti graffi profondi e distorti. Un disco credibile in ambedue le sue facce, ovverosia quella acustica (e "blues" con mille virgolette) e quella elettrica; ben prodotto, di grana raffinata (a differenza di quanto avviene troppo spesso nei dischi rock attuali Mario Iob non la butta in distorsione per solleticare reazioni "pavloviane" tra i suoi ascoltatori), gli interventi della chitarra solista sono sempre efficaci e mai messi lì tanto per, le soluzioni sono ricercate ed evitano i cliché. Richiede un minimo d'impegno a chi è abituato alle solite cose radiofoniche, mentre chi mastica certi suoni troverà pane per i propri denti.
(Carlo Alberto Sindici)

MARIO IOB - ‘BONES’
(Autoproduzione digitale, 2020)
Mario Iob è un’anomalia per la musica italiana: ama il rock, è conosciuto più all’estero, soprattutto America, che in Italia e, cosa fondamentale, è del tutto disinteressato ai compromessi ed ha preferito una vita onesta nelle retrovie che le vetrine fasulle del successo usa e getta. Il talento non gli manca: immagine da artista dannato, voce di catrame, tra Tom Waits e Nick Cave, e canzoni che lacerano cuore ed anima, ma ha sempre preferito l’essenza, ovvero suonare dal vivo, dai teatri alle bettole, arrivare alle persone senza filtri. Questo debutto solista che arriva dopo oltre trenta anni di storia, è disponibile solo sulle piattaforme digitali. Quattro canzoni elettriche (un rock più vicino ai ’90 che alla classicità dei ’70) ed altrettante acustiche (oltre ai nomi citati aggiungete Mark Lanegan), per svelare il doppio volto di questo artista. Titoli caustici come “Raise My Ruins” e “My Bones Are Sick” dicono molto della personalità del nostro, ma forse è “Heaven Helps”, sorta di preghiera, che svela del tutto la sua personalità. Se suonerà dalle vostre pari, non perdetevi l’occasione di ascoltare un vero artista. La sua anima vi arriverà addosso dolce e violenta.
(Gianni Della Cioppa)

Mario Iob -  CF BIOMRA72D03L483D - San Daniele del Friuli - info@marioiob.com